“Ci vuole molta armonia in tempi così difficili” è il suo incipit. “Noi anziani stiamo “andando via” – dice – un futuro migliore è possibile solo se regnerà la concordia. Dobbiamo pensare al futuro dei giovani, ripeto, perché solo da questo possiamo sperare in un cambiamento. E sé stesso, cosa augurerebbe? “Il mio mondo – e lo dico con rimpianto – non è più quello di un tempo”.
Non si può tornare indietro.
Era un mondo analogico, fatto di mille nastri, di milioni di sfumature che rendevano completa la frase interiore.
Ora è il mondo digitale, della fretta, del mordi e fuggi, della impulsività, non della riflessione. Dell’egotismo, non della mutua ricerca di un comune miglioramento.
“E’ un mondo che avrebbe bisogno di maggior “educazione”: i giovani mi appaiono un po’ “sbandati””. Occorre un cambio di passo, ma non è facile in un processo digitalizzante che soddisfa piaceri effimeri.
“Per tal ragione – sottolinea – occorre qualcuno che sappia tenerli insieme, nel rispetto, in vista della costruzione di questo futuro migliore: altrimenti se ne vanno altrove, più a nord del nord. E un territorio senza ragazzi non ha potenzialità”.
Un pensiero al vecchio anno giuliano: “Un anno orribile – conclude – perché tanti amici non ci sono più (il pensiero è rivolto a Sebastiano Lo Monaco, fra gli altri)”.
Sto assistendo a cambiamenti anche positivi, per carità, ma mi auguro che continuino e siano funzionali a una effettiva rinascita della speranza.
Io ci credo”. Poi, con grande nostalgia, ci fa entrare in quel mondo delle meraviglie del suo studio, fatto di nastri, film, interviste, colori e sfumature che ancora parlano, raccontano, rivivono, restituendo lucore a un’epoca che le speranze le aveva intatte