Camminano chini per chilometri, li incontri sul Diddino, mentre il resto della colonnna s’inerpica lungo i tornanti dei Climiti. E’ gente che crede, e ogni credenza è da rispettare profondamente. Tuttavia è una scena che si ripete da troppo tempo: quindi le cose sono due. O Il Santo s’è fermato, scandalizzato, nella sua dimora, oppure ha smesso di erogare grazie senza motivo. Purtuttavia, lo sforzo c’è ed è ammirevole da parte di chi ha una forma mentis laica. Anzi. Proprio il laicismo tutela i valori altrui: la Costituzione è (o dovrebbe essere) laica. I pellegrini sono pure cambiati: oggi li vedi chini, ma non solo per la fatica; sono lì, tutti intenti a leggere sui loro smartphone le ultime polemiche politiche, magari legate ai propri altri santi. Santi differenti, non icone che popolano le navate.
Ché quelli sono incapaci di chiedere: e, stando alle cronache, sono stati pure martirizzati. Non sono stati “sperti” (furbi per chi legge il lieve modo siculo di definire chi è più intelligente, usando l’astuzia e l’inganno). E lo sguardo va su e giù, sù e giù: non cambia la gestualità, permeata da una contemporaneità digitale. Coraggio. La meta è vicina. Poi i botti di ogni festa risolveranno tutti i dubbi, dissiperanno le preghiere mirate alla grazia del lavoro, della dignità, della via giusta. Magari i piedi faranno un po’ male: sì, certo, domani arriverà un qualche dono. Forse. Ma non a tutti. Perché non tutti sono uguali. Alcuni rimarranno sempre figli di un dio minore, altri si troveranno – per loro merito, eh, malpensanti – al posto giusto e al momento giusto per loro esclusiva abilità.