“E’ un’azione voluta nei programmi storici dei pentastellati e della Lega – premette Costa – per motivi differenti portata avanti da entrambi”. Tradotta in realtà spalancherebbe le porte a un sistema ancora più inquietante. “Il motivo che sta alla base degli intenti dei 5stelle è populista – afferma -.E’ un agire contro qualsivoglia tipo di casta, vera o presunta. In questo caso la casta dei laureati, anche se molti sono in cerca di occupazione. La conseguenza, però, è che anche il più incompetente possa sentirsi sullo stesso piano culturale di chi ha studiato. Un po’ come dire: “Facciamogliela vedere a questi medici, avvocati, professori”. Per la Lega è differente: “Fin dalla Lega di Bossi (la 1.0) – ricorda – si vociferava che le università del mezzogiorno regalassero i 110 e lode, mentre gli atenei del Nord fossero più parchi nelle valutazioni e, quindi, il loro valore fosse superiore al nostro”. E noi Siciliani, che abbiamo sempre portato cultura dovunque, cosa dovremmo rispondere a queste ipotesi, tutte da dimostrare? “Dovremmo replicare – si dice convinto il docente – che entro certi limiti, alcune considerazioni fatte da entrambe le forze politiche, possano essere oggetto di riflessioni serie. Ma togliere la laurea come titolo di accesso a determinate professioni significa spalancare ancor di più le porte alla raccomandazione: basterà prendere l’amico del politico di turno che, magari, ha studiato medicina per 3 anni senza riuscire a laurearsi …però ha una infarinatura nella “scuola della vita”. O s’è letto tutte le enciclopedie mediche. Gli si confeziona un concorso, dove la commissione gli riconosca un maggior sapere rispetto a un “inutile laurea”, e diventa medico. Ma tutto ciò tutelerebbe la gente? Credo di no. Lo stesso vale per un avvocato, un giudice, un fisico. Perché farsi difendere da un legale? Allora chiunque, con una bella parlantina, potrebbe inscenare una difesa brillante – ironizza – . L’assistito non distinguerà più, condizionato dal marketing, fra chi sa di legge e chi è laureato”. Sarebbe una deriva incontrollabile. “Consentire a chi non ha un titolo minimo – prosegue – di far qualsiasi cosa di professionalmente delicato, come costruire un edificio senza essere ingegnere, apre le porte alla raccomandazione e alla improvvisazione.
I due attori politici potrebbero replicare che sarebbe istituita una sorta di agenzia in grado di valutare le conoscenze, settore per settore: di fatto, sarà una apartheid delle università meridionali, che non varranno allo stesso modo del comparto nord. In breve, si potrebbe assistere a una lenta chiusura degli atenei siciliani e meridionali, perché i giovani e meno giovani andrebbero al nord – per chi se lo può permettere – in un momento in cui già vanno via dalla nostra terra. Chi non potrà andar fuori dovrà subire, invece, un laureato del nord. IL meridionale dovrà solo essere relegato a meri compiti esecutivi. I governi, già da decenni, discriminano le nostre università. Ma adesso c’è una formidabile accelerazione verso una “soluzione finale”. Già. Perché è un male che la gente non voglia trasferirsi al settentrione, che non abbia i soldi per farlo. Per far fuggire tutti occorre un atto che costringa a svuotare l’Isola con un colpo di piccone. Annoto come una tal riforma non sia in linea col preteso sovranismo esternato da questa nuova classe dirigente. Su questo terreno, il nuovo è peggio del vecchio. L’Europa punta a un assottigliamento delle facoltà, ma con strumenti più raffinati, cervellotici, che premiano solo un certo tipo di ricerche, quelle mainstream (del sistema), ovviamente. Il resto, muoia a fuoco lento. Per fortuna, va detto, il ministro Bussetti sta ponendo un freno a questa deriva”.