FRA DEPISTAGGI, TERRORISTI, SERVIZI, ALLA RICERCA DELLA VERITA’, 36 ANNI DOPO: UNO DEI PIU’ LUNGHI PROCESSI DELLA STORIA
Sono 36 anni di dolore, protesi verso la ricerca di una verità ancora impossibile, forse. Di sicuro, Benedetta ci ha messo il cuore, sia di figlia, sia di cronista. La guardi negli occhi e ti ritrovi la bambina che ricevette la terribile notizia dell’omicidio di Walter. La Camera di via Roma è gremita per aggiungere un tassello in più in quell’inestricabile trama di complotti e misteri che ancora inquietano il Paese.
“Sono effetti che si manifestano ancora oggi. Piazza Fontana è uno dei più grandi attacchi alla nostra democrazia – premette Scardova -. Sono convinto che per avere un quadro completo occorra risalire a Portella della Ginestra, al massacro dei lavoratori, nel ‘47, nel tentativo di influenzare le elezioni amministrative della Sicilia. Non possiamo dimenticare la fucilazione degli operai di Modena, Reggio Emilia, in una strategia di terrore”. Nella strage di Piazza Fontana, molti, nel giorno dei funerali, ricorda il giornalista, erano scolpiti dal dolore, ma erano “solidi nella fermezza di fronte a questi attacchi”. “Tobagi fu ucciso – dice – perché il suo lavoro era capire e difendere conquiste democratiche: non tutti i giornali furono fermi nel capire cosa significasse piazza fontana. Il Corriere della Sera, tuttavia, difese il lavoro di magistrati e inquirenti. “Il processo impossibile” vede 10 gradi di giudizio. D’altro canto, c’è Brogi, con la sua forte testimonianza su Pinelli: “In alcune carte ritenute secretate fino al 2014 – ricorda – emerge che Piazza Fontana, attribuita agli anarchici, era già stata prefigurata prima della strage stessa: una lunga scia di martiri che hanno lasciato la vita per la verità”.
Ivano Bosco, ospite della conferenza, ha rimarcato alcune riflessioni: “Trentasei anni di processo sono “fantascienza” – ha detto -. Un processo che ha intrecciato misteri e ha iniziato una fase nuova sugli anni di piombo, indicando come, paradossalmente, Piazza Fontana con la sua strategia della tensione colpì profondamente ognuno di noi. Lo stragismo provocò la sfiducia nei confronti dello Stato, perché la gente coltivasse la fiducia altrove: furono spezzati sindacalisti, giornalisti, magistrati, operai. Tutti con un comune denominatore: non ci può essere una ideologia che possa giustificare il delitto”.
Per la figlia di Tobagi non può essere un capitolo chiuso: lo dimostra la metrica analitica e passionale, allo stesso tempo, del suo periodare, per non dimenticare, per ritrovare compattezza. “Questo processo infinito – ha asserito Benedetta Tobagi – ci ha permesso di acquisire una mole di conoscenze solide: il punto è che il paradigma processuale sta in tre diversi processi, fino al 95/2005. L’iter si conclude mandando tutti assolti tranne due ufficiali dei Servizi. Il Processo è paradossale: ci sono state assoluzioni, anche in via definitiva. Sono stata pure insultata perché non potevo avere l’arroganza di definire il processo come “impossibile”. Il dibattito nel Paese è avvelenato, la giustizia non ha potuto fare il suo corso e il processo è fallito poiché si è sviluppato in un contesto in cui, almeno, è venuta fuori la “pista nera”. In Italia, occorre prendere tutti i fenomeni attingendo al materiale giudiziario, imprescindibile. Mi chiedo come un verdetto, dopo 36 anni, non emetta condanne giudiziarie. D’altro canto ma pronunzia condanne nel “tribunale della Storia”: un processo complicatissimo, dettagliato, che si dipana come un processo politico. Non solo perché ci siano state influenze della politica, ma perché ha avuto delle leggi – come la Valpreda – di natura politica”. Non solo: “Il processo ha fatto emergere fatti sociali non indifferenti – aggiunge – che rappresentavano l’Italia di allora”. Insomma, il libro è da leggere fra le righe, perché offre spunti d’importante analisi su ciò che è lo Stivale oggi. I dettagli esposti dalla Tobagi sono incalzanti, ordinati cronologicamente, logici. “Piazza Fontana non era solo funzionale a un fatto internazionale – dice – ma anche interno”.
Brogi ricorda fatti importanti alla ricostruzione dell’impalcatura, nell’epoca dello Statuto dei Lavoratori, all’interno di quella “piccola stanza” in cui “Pinelli avrebbe corso, effettuando un balzo felino: due inchieste, un dibattimento in aula, per dimenticare i veri padroni dei fatti. I familiari delle vittime, non dimentichiamolo, sono riusciti a mette insieme una materia altrimenti perduta. Ho svolto semplicemente un atto di accusa contro l’inventore della forma “scaricabarile” dei servizi deviati”.
Nel libro ci sono nomi, circostanze, ricostruzioni, sacrifici “di uomini dello Stato”, come ha concluso Scardova: “Centinaia di persone han lavorato per il diritto alla verità”. Una verità ancora difficile da afferrare, ma necessaria per dare un taglio netto a quella zona d’ombra di un Paese che possa “garantire ai nostri figli quella democrazia che speravamo di poter vivere noi”. Il “Processo Impossibile” va letto, quindi, per avere un quadro più completo di quella Italia oscura e dolorosa che ancora pesa sule nostre coscienze.