Giuseppe Muccio e Attilio Russo incrementano il lavoro di osservazione delle feste patronali, già apprezzato nelle loro pubblicazioni, per rilanciare etica, riflessione, paralleli di vita.
Fotografi, subacquei, maestri del particolare che fa la differenza, Giuseppe Muccio E Attilio Russo hanno setacciato l’agro siculo alla ricerca di gocce di sudore, sangue, lacrime, stati d’animo. Il lavoro meticoloso è premiante: sono cercatori instancabili che dipingono la fotografia di una Trinacria dalle mille sfaccettature.
Una terra non stereotipata come si osserva nelle fiction televisive, ma immersa in una costante analisi del sé, delle sue contraddizioni, alla ricerca della liberazione da un fardello attraverso la catarsi delle tradizioni popolari. Quadri ignoti ai più. Come quello del Cristo sull’asinello in un paesino ignoto. Il simulacro è dondolante, la pietas popolare lo tiene fermo nel suo cammino triste, consapevole. È il cammino di tutti, incerto, attonito, verso l’ignoto. Chiaroscurale l’ascesa della Croce, spinta da un folto stuolo di fedeli sul lato più ripido della montagna, dove nuvole e azzurri pastello si abbracciano dissolvendosi in un bacio lieve. Una Madonna che esce dalla spuma del mare, è un fremito di emozione, come un qualcosa di inatteso esce sempre dagli abissi della coscienza per vedere una luce più vera. La Sicilia di Muccio e Russo si consuma fra viottoli in pietra e carretti variopinti, o povere vesti in bianco e nero. Quante Sicilie ci sono? Tante, pallide, austere, oppure festanti per l’uscita di un Santo che non può elargir grazie a chiunque, ma riaccende il sorriso della speranza; un santo che scava di lacrime il volto di un vecchio, dietro alla finestra, alla ricerca della compagna assente. I due fotografi si telefonano, corrono, come cronisti, sui “luoghi del pane”, attraversandone gli archi di grano, regalo di Madre Terra all’agricoltore, alle mani laboriose. Sotto i campanili, fra gli ‘nzareddi, sgusciando fra gli striscioni porpora, fermano l’attimo e gli donano lucore. E il quadro antropologico, gradualmente prende una forma complessa, vivida, capace d’inglobare le contraddizioni di un’Isola dominata eppure unica, irripetibile, cangiante, vergata dalla sofferenza che atterrisce ed affanna, innamora ed eleva l’animo. È un mondo a sé. L’esperienza di Russo, messinese, autore di numerose pubblicazioni e mostre di livello internazionale, declinata alla naturale tensione all’infinito di Peppe Muccio, specializzato reporter anche nella ricerca sottomarina, rivelano una prospettiva sempre nuova. Non puoi osservare un loro ritratto distrattamente. Ogni scatto è misurato, figlio di una sequenza di frames necessari a scrutare l’imperscrutabile. E in un momento storico come l’attuale, permeato da ansie, avidità, sterili lotte di potere, i dipinti del Sole e della Luna, del vento e delle nuvole, del mare e del fuoco, rilanciano l’isolitudine sciasciana, ma anche la coscienza di un popolo che è tale perché crogiuolo fuso di lingue, idee, arti e mestieri. Il lato religioso? Certo. I benpensanti potrebbero ridurlo a un semplice atto di superstizione. Così non è; piuttosto un incessante cammino interiore, dove gli elementi naturali non sono mai banali per chi sa leggere senza pregiudizi. E i due non hanno paura a riaccendere il fuoco della speranza, facendo comprendere come l’equilibrio dell’uomo sia sempre delicato. Ché la nuda terra, come i sanpietrini accidentati e il mare infinito non sono mai sicuri. Un’instabile armonia, come quella del Cristo che rischia di cadere da un asinello, in una Pasqua di rinascita e vita, dove il dialogo con l’infinito l’intrattiene, con la sua profonda semplicità, una donna vestita a lutto, a mani giunte verso l’alto.
Note a margine: Gli autori hanno preferito non apporre i nomi delle località. Sarà fatto al momento del loro nuovo lavoro. I due professionisti, già impegnati in collaborazioni di prestigio, promettono di tenere informati i lettori di 2minuti al momento dell’uscita delle nuove esperienze sul territorio.